Istituti tecnici: chi li difende e chi li attacca. La diatriba politica
Liceo o Istituto tecnico? Cosa è meglio, quale istituto offre più sbocchi nel lavoro?
Polemiche e opinioni divergenti tra la destra e la sinistra italiana. È un topos della destra, un argomento dialettico e retorico, quello che la sinistra contemporanea dai suoi salotti guardi esclusivamente ai licei e sulla scuola si dimentichi dei figli dei ceti popolari e delle loro necessità lavorative.
” In un mondo in cui è stato detto che se avessi scelto il liceo avresti avuto un grande sbocco nella tua vita, e se invece avessi scelto un istituto tecnico avresti avuto opportunità minori, dimentichiamo che in questi istituti, e qui parliamo del tecnico agrario, c’è una capacità di sbocco professionale molto più alta di altri percorsi, questo è il liceo”.
Ha detto Giorgia Meloni che si è diplomata con 60 sessantesimi all’Istituto professionale alberghiero Amerigo Vespucci di Roma, dove ha frequentato l’indirizzo linguistico.
“In Italia in questi anni è stato un po’ distrutto quello che era l’istituto tecnico – ha detto a sua volta la ministra Santanchè -. Abbiamo avuto una sinistra che ha invogliato i giovani a fare i licei. Questo governo vuole invece mettere al centro le scuole tecniche”.
La liceizzazione dell’Italia moderna fu opera della Riforma Moratti. Era il 2003 ed il ministro per l’Istruzione nel Governo Berlusconi bis era Letizia Moratti. Due anni più tardi, la legge portò a quota otto i licei esistenti all’interno della riconosciuta organizzazione tripartita della scuola italiana (licei, istituti tecnici e istituti professionali). Al Classico, allo Scientifico e all’Artistico, la “Moratti” ne aggiunse cinque: il Liceo economico, il Musicale, il Tecnologico, il Liceo delle scienze umane e il Coreutico. Fu una netta separazione tra istruzione alta da una parte e tecnico-professionali dall’altra. Non a caso, la Riforma Moratti (che abolì la Legge Berlinguer di sole tre stagioni precedente) fu fortemente criticata dalla stessa Confindustria, che vedeva marginalizzata l’istruzione tecnica e professionale.
Premiando gli studenti di un Istituto agrario (un tecnico), Meloni e Santanchè parlano in verità di entrambi gli indirizzi scolastici che, per fama, “costruiscono giovani per il lavoro”.
Ma la riforma Gelmini ) ispirò un taglio delle ore degli insegnamenti “di indirizzo” negli istituti tecnici e professionali. Per esempio, la materia “Tecnologie e disegno” ha visto ridurre di un terzo le ore di lezione nei tecnici e, conseguentemente, le relative cattedre e il personale docente.
E così, è un dato di fatto che gli istituti tecnico-professionali sono usciti dai radar delle famiglie per la scelta scolastica dopo i tre anni di medie. In particolare, le iscrizioni agli istituti professionali dal 2003 (Riforma Moratti, appunto) al 2019 si sono dimezzate passando dal 27,4 per cento del totale al 14,4 per cento. Gli istituti tecnici hanno perso sette punti percentuali, ma nelle ultime stagioni sono tornati a richiamare alunni: oggi accolgono un terzo degli studenti del Paese.
Nell’ultimo anno si è iscritto a un istituto professionale il 12,1 per cento dei quattordicenni: un adolescente su otto.
Con Draghi premier la scuola che porta al lavoro si è affidata alle inedite e voluminose risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Ecco dunque che il diktat della sinistra che vuole “ licealizzare tutto” non regge.
Ma il dibattito resta ancora aperto.